La Costituzione europea con chi ci stà
La posizione ufficiale del movimento
L'agonia dell'Europa intergovernativa è un fatto
indiscutibile. Gli avvenimenti del 1989, il crollo dell'Unione
sovietica, la riunificazione tedesca, l'allargamento verso
l'Est e le nuove sfide di politica estera hanno costretto
l'Unione ad aprire il cantiere delle riforme istituzionali.
Ma i governi europei hanno fallito ad Amsterdam nel 1997,
hanno fallito a Nizza nel 2000 ed hanno di nuovo fallito
a Bruxelles nel 2003. L'Unione degli egoismi nazionali e
del diritto di veto non ha futuro. Senza una Costituzione
comune, l'Europa a 25, e presto a 30, si trasformerà
in una Babele multinazionale, si accentueranno i contrasti
tra Stati e ritorneranno gli spettri di un passato tragico,
di cui il crescente antisemitismo è un inquietante
sintomo.
L'alternativa è evidente. La Convenzione europea
è riuscita là dove i governi hanno fallito.
La Costituzione europea è il frutto di un compromesso
tra chi voleva un'Europa federale e chi voleva conservare
la vecchia Europa intergovernativa. E' comunque un compromesso
che consente di compiere un passo in avanti, perché
offre opportunità nuove di partecipazione ai cittadini
europei ed ai loro rappresentanti nel Parlamento europeo.
La Convenzione ha lavorato con spirito democratico, sulla
base di un dibattito trasparente e aperto a tutte le componenti
della società civile. La legittimità democratica
della Convenzione è incontestabile, perché
oltre ai rappresentanti dei governi e della Commissione
erano rappresentati anche i cittadini europei, grazie alla
partecipazione ai lavori di membri del Parlamento europeo
e dei parlamenti nazionali.
Il Movimento Federalista Europeo chiede pertanto:
al Parlamento europeo di votare una risoluzione in cui
si invitano i parlamenti nazionali e i rispettivi governi
dei 25 paesi che hanno partecipato alla Convenzione di esprimere,
con un SI o un NO, la loro volontà di adottare la
Costituzione europea; su questa base, comunque prima dell'elezione
europea del 13 giugno 2004, il Consiglio europeo, prendendo
atto della volontà degli Stati, deciderà di
avviare le ratifiche nazionali mediante una procedura che
preveda l'approvazione della Costituzione quando una maggioranza
qualificata di paesi dell'Unione l'abbia ratificata;
al Parlamento italiano di approvare subito questa procedura,
di esprimersi a favore della Costituzione europea e di impegnare
il governo italiano a difenderla nel Consiglio europeo.
A chi sostiene che in questo modo si crea un'Europa a due
velocità, va risposto che le due velocità
sono inevitabili in un'Europa senza Costituzione, dove i
paesi più forti prenderebbero l'egemonia. La vera
scelta è tra un'Europa con o senza Costituzione.
La responsabilità della crisi attuale ricade sui
governi che hanno voluto la Convenzione, hanno preso parte
ai suoi lavori, accettando anche il metodo con cui sono
state prese le decisioni finali, che ora rifiutano. La Costituzione
europea è il simbolo della partecipazione dei cittadini
europei alla costruzione dell'Europa. I paesi che decideranno
di non approvarla hanno il diritto di farlo. Nessuno li
vuole privare dell'acquis communautaire. Per loro le porte
restano aperte. Ma non devono nemmeno impedire a chi vuole
costruire la nuova Europa di andare avanti.
Movimento Federalista Europeo
Milano, 17 dicembre 2003
Un breve riepilogo
Il Consiglio europeo di Bruxelles del 12-13 dicembre 2003
non è riuscito a concludere con un accordo fra i
venticinque capi di Stato e di governo dell'Unione Europea
(i 15 membri attuali e i 10 che entreranno il 1° maggio
2004) i negoziati della Conferenza intergovernativa (CIG),
riunita sotto presidenza italiana a partire dal 4 ottobre
2003 per adottare il Trattato istitutivo della Costituzione
europea sulla base del progetto proposto dalla Convenzione
europea. Si è in generale parlato di fallimento della
CIG e di gravissima crisi del processo di integrazione europea,
che qualcuno ha paragonato alla bocciatura della Comunità
europea di difesa a seguito del voto negativo dell'Assemblea
nazionale francese del 30 agosto 1954. Per mettere a fuoco
la situazione in cui ci troviamo e stabilire una adeguata
linea di azione, cominciamo dal riepilogo degli aspetti
fondamentali della vicenda della Costituzione europea.
La Convenzione europea - formata dai rappresentanti del
Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali, dei Governi
e della Commissione europea e presieduta da Valery Giscard
d'Estaing coadiuvato dai vicepresidenti Giuliano Amato e
Jean Luc Dehaene - ha approvato alla quasi unanimità
dopo un anno e mezzo di lavoro un progetto di Costituzione
che, nonostante i suoi difetti, deve essere considerato,
come abbiamo detto nei numeri 1-2 e 3, 2003 di "Piemonteuropa",
un grande passo avanti, in sostanza la ghianda da cui può
svilupparsi la federazione europea. Il contenuto di questo
progetto può essere riassunto nei seguenti termini.
Da una parte, viene mantenuto in vita nei settori della
politica estera, della difesa e delle finanze il metodo
confederale fondato sui diritti di veto nazionali. Dall'altra
parte, ci sono importanti innovazioni verso un'Europa più
democratica e federale: il sostanzioso rafforzamento del
Parlamento europeo (maggiori poteri di codecisione con il
Consiglio, elezione della Commissione sulla base dei risultati
delle elezioni europee, potere di proporre al Consiglio
europeo, che deve decidere a maggioranza semplice, la revisione
della Costituzione con il metodo della Convenzione), l'estensione
del voto a maggioranza da parte del Consiglio, un nuovo
sistema di voto a maggioranza qualificata che introduce
il principio della doppia maggioranza (il 50% degli stati
e il 60% della popolazione complessiva dell'UE), la cooperazione
strutturata nel campo della difesa che permette la formazione
di una avanguardia federale in questo settore cruciale.
Si è giunti a questo risultato perché il metodo
convenzionale rappresenta un superamento del metodo puramente
diplomatico proprio delle conferenze intergovernative, e,
anche se non equivale a una costituente in senso pieno,
ha permesso di lavorare in modo più democratico e
trasparente e anche la partecipazione dei rappresentanti
della società civile, in particolare del mondo giovanile.
Non tutte le loro richieste sono state accolte. Ma questo
è un progetto fornito dei requisiti di contenuto
e di legittimità sulla base dei quali si può
realmente progredire verso la federazione europea. Quando
questo progetto è giunto all'esame della CIG gli
istinti animali della conservazione nazionale hanno ripreso
vigore e nel corso delle trattative intergovernative sono
emersi alcuni passi indietro rispetto al progetto della
Convenzione, senza che peraltro venissero compromessi i
progressi più significativi in esso contenuti. E'
emersa però una insuperabile opposizione al nuovo
sistema di voto a maggioranza qualificata da parte dei governi
di Spagna e Polonia, decisi a mantenere il sistema di voto
ponderato stabilito dal Trattato di Nizza, il quale dà
a questi due paesi un peso quasi uguale a quelli di Germania,
Gran Bretagna, Francia e Italia e rende praticamente impossibile
il voto a maggioranza. Proprio questa opposizione ha alla
fine impedito che si raggiungesse un accordo unanime a Bruxelles,
con la conseguenza di rinviare le decisioni alla presidenza
irlandese.
Per valutare ciò che è successo alla riunione
del 12-13 dicembre, occorre ora ricordare due circostanze
fondamentali che l'hanno caratterizzata.
Il presidente Chirac, di fronte alla divergenza con i governi
spagnolo e polacco, aveva chiesto (a nome della Francia
e con l'appoggio del governo tedesco) che a Bruxelles ci
fosse un voto da cui emergesse chiaramente quali governi
erano a favore del progetto di Costituzione basato sulle
proposte della Convenzione e quali contrari. Se a questo
voto si fosse arrivati, i governi contrari avrebbero dovuto
porre apertamente il proprio veto e ciò avrebbe aperto
la strada all'adozione a maggioranza della Costituzione.
Si sarebbe quindi aperta la prospettiva della formazione
di una Unione Europea a cerchi concentrici, con al centro
i paesi legati fra di loro da una Costituzione a vocazione
federale e, intorno a questo nucleo, i paesi non ancora
disponibili a questa scelta, ma con la possibilità
di compierla successivamente e di partecipare nel frattempo
al mercato unico e a un'integrazione meno approfondita (senza
peraltro escludere un'adesione immediata, pur di non rimanere
emarginati).
Proprio questa, va sottolineato, è la linea sostenuta
con coerenza e continuità dai federalisti sulla base
di argomentazioni i cui punti essenziali sono i seguenti:
- il metodo costituente democratico, senza il quale è
impossibile superare le resistenze nazionalistiche alla
costruzione di un'Europa federale, implica che un progetto
di Costituzione europea non solo deve essere elaborato da
un organo rappresentativo sopranazionale e non dalle diplomazie
nazionali, ma non deve essere bloccato dai veti nazionali
né in sede di elaborazione del progetto né
in sede di ratifiche nazionali;
- si tratta precisamente del metodo proprio della Convenzione
di Filadelfia del 1787, dalla quale nacque la prima costituzione
federale della storia proprio perché fu superato
con piena coerenza il principio dell'unanimità;
- il progetto approvato dalla Convenzione recepisce embrionalmente
il metodo di Filadelfia dal momento che non prevede formalmente
l'unanimità delle ratifiche per l'entrata in vigore
della Costituzione e delle sue successive modifiche (si
dice che, se dopo due anni dalla firma del trattato costituzionale
almeno i 4/5 degli stati membri lo hanno ratificato, la
questione è deferita al Consiglio europeo); su questa
base i governi più avanzati, se ne hanno la volontà
politica, possono decidere di rifiutare i veti nazionali
anche in sede di adozione del progetto e di ratifiche nazionali.
Torniamo alla riunione di Bruxelles del 12-13 dicembre.
Se in questa occasione il presidente Chirac ha espresso
una posizione fortemente positiva, per contro il capo del
governo italiano, che in quanto presidente del Consiglio
europeo aveva il potere di mettere ai voti la Costituzione
europea, si è comportato in modo estremamente negativo,
perché ha rifiutato la proposta francese, bloccando
quindi la possibilità di una decisione a maggioranza
sulla Costituzione europea.
Questo comportamento - va detto forte e chiaro - configura
un vero e proprio tradimento della linea costantemente tenuta
dai governi italiani a favore del progresso soprattutto
sul piano istituzionale della costruzione europea.
Ricordiamo qui tre casi particolarmente emblematici in cui
questa linea si è manifestata, rifiutando con determinazione
il principio dell'unanimità. Nel dicembre 1975 al
Consiglio europeo di Roma il Presidente del Consiglio Aldo
Moro ottenne una decisione a favore dell'elezione diretta
del Parlamento europeo nonostante l'opposizione di Gran
Bretagna e Danimarca, le quali si adeguarono successivamente
a tale decisione per non rimanere isolate. Nel giugno del
1985 a Milano il governo presieduto da Bettino Craxi fece
deliberare a maggioranza, contro l'opposizione di Gran Bretagna,
Danimarca e Grecia, la convocazione della Conferenza intergovernativa
che varò il trattato che ha portato al mercato unico.
Nell'ottobre del 1990 a Roma il Presidente del Consiglio
Giulio Andreotti fece approvare a maggioranza, contro l'opposizione
della signora Thatcher, la convocazione della Conferenza
intergovernativa sull'Unione economica e monetaria che doveva
portare alla moneta unica.
In tutte e tre le occasioni il governo italiano si è
appoggiato ad iniziative dell'asse franco-tedesco (che ha
sempre svolto un ruolo trainante nel processo di integrazione
europea), ma le ha costantemente rafforzate in senso sopranazionale
ed ha contribuito in modo decisivo al loro successo.
Nel dicembre 2003 a Bruxelles il governo presieduto da Silvio
Berlusconi ha invece esercitato, sul tema cruciale della
Costituzione europea e della sua vocazione federale (che
nell'intervista alla "Repubblica" del 19 dicembre
2003 è stata giudicata dal nostro capo del governo
troppo avanzata), un ruolo frenante nei confronti del motore
franco-tedesco.
Questo comportamento, occorre sottolineare, non può
essere giustificato con riferimento alle pur gravi contraddizioni
che hanno caratterizzato la linea europea dei governi di
Parigi e di Berlino. Essi hanno dato più volte l'impressione
- prima mettendo in crisi il Patto di stabilità,
poi rifiutando il sistema di voto più ragionevole
per il Consiglio (50% degli stati e 50% della popolazione),
perché in questo modo la Commissione avrebbe acquisito
troppi poteri, - di voler mantenere una posizione privilegiata
nella nuova Europa e di non essere disposti a venire a patti
con i piccoli paesi. A ciò si deve aggiungere che
la Germania, in quanto massimo contributore netto al bilancio
dell'UE ha voluto in Convenzione mantenere l'unanimità
per le decisioni relative alle risorse finanziarie proprie
(e dopo Bruxelles ha chiesto, con altri 5 paesi contributori
netti, che il tetto del bilancio sia mantenuto fino al 2013
alla cifra risibile dell'1% rispetto al PIL europeo). E'
chiaro che queste posizioni hanno fatto il gioco dei nemici
della Costituzione europea, ma proprio per questo una linea
italiana conforme alla sua tradizione europeista sarebbe
stata determinante per rendere più sopranazionale
e quindi rafforzare la spinta integrativa del motore franco-tedesco.
Il fatto che ciò non sia avvenuto chiama in causa
vari fattori:
anzitutto l'opportunismo di Silvio Berlusconi e la sua incapacità
di farsi interprete del vero interesse nazionale dell'Italia
(in definitiva della sua ragion di Stato) che coincide con
la costruzione di un'Europa federale; in secondo luogo la
presenza nella maggioranza di governo di forze programmaticamente
antieuropeiste - in particolare Lega Nord e alcuni settori
di Forza Italia (che sono giunti a mettere in discussione
la partecipazione dell'Italia all'euro) - e il poco coraggio
delle forze europeistiche che sostengono il governo; in
terzo luogo lo spirito di vassallaggio (manifestatosi in
modo particolarmente clamoroso nel caso della guerra contro
l'Iraq) nei confronti dell'iperpotenza americana che ormai
persegue chiaramente una linea contraria all'avanzamento
dell'unificazione europea. Per riparare il vuluns che il
governo italiano ha inferto alla costruzione europea, non
c'è altra via che fondare la politica europea dell'Italia
su di uno schieramento trasversale alla maggioranza e all'opposizione,
che unifichi le forze europeiste che sono ampiamente maggioritarie
nel paese e isoli quelle antieuropeiste presenti sia nella
maggioranza che nell'opposizione.
Vediamo ora che fare dopo il fallimento di Bruxelles per
capire in quale prospettiva deve muoversi l'azione diretta
a ottenere che il governo italiano attui una politica europea
corrispondente alla volontà della grande maggioranza
dei cittadini.
Il dato di fondo da cui partire è che a Bruxelles
l'asse franco-tedesco (che, non dimentichiamolo, è
il fondamentale centro di resistenza a livello governativo,
purtroppo non sufficientemente determinato e coerente nei
confronti della linea egemonica americana) ha, pur con le
contraddizioni ricordate, impedito un compromesso al ribasso
rispetto al progetto della Convenzione e proposto un voto
da cui emergesse quanti paesi erano disposti ad accettare
la Costituzione europea. Mi pare evidente, che l'impegno
dei federalisti deve concentrarsi nel consolidare questo
orientamento e renderlo pienamente consequenziario, nel
farlo cioè evolvere in una inequivocabile linea a
favore della Costituzione europea con chi ci sta e, quindi,
della formazione di un'Europa a cerchi concentrici, nel
caso in cui non tutti gli stati saranno fin dall'inizio
disponibili a progredire in direzione federale.
Il che, va sottolineato, non vuol dire creare un'Europa
di serie a e uno di serie b, dal momento che il discrimine
è fondato sulla volontà o meno di partecipare
a un'Europa federale e quindi strutturalmente solidale,
e sul rifiuto del principio profondamente antidemocratico
dei veti nazionali.
Dobbiamo dunque spingere i governi di Francia e Germania,
dei paesi fondatori e di tutti quelli disposti a marciare
verso il federalismo sopranazionale (sono la grande maggioranza
dei 25) ad adottare il progetto della Convenzione e a inviarlo
alle ratifiche nazionali (con la clausola per cui esso entrerà
in vigore fra gli stati ratificanti anche se non tutti lo
ratificheranno) prima delle elezioni europee del giugno
2004, in modo che queste abbiano come tema fondamentale
il progetto della Convenzione e possano trasformarsi in
un referendum di fatto a favore o contro la Costituzione
europea.
La via maestra per ottenere ciò è la mobilitazione
delle istituzioni parlamentari europee, le quali rappresentano
un'opinione pubblica che nella grande maggioranza (come
dimostrano i più recenti sondaggi) è favorevole
all'avanzamento dell'unificazione europea e a una Costituzione
per l'Europa. Dobbiamo chiedere in sostanza al Parlamento
europeo anzitutto e ai parlamenti nazionali che adottino
il progetto approvato dalla Convenzione, vale a dire da
un organo legittimato democraticamente, voluto dagli stessi
governi europei, oltre che dal PE.
Se si riuscirà a far esprimere, oltre al PE, un sufficiente
numero di Parlamenti nazionali a favore della Costituzione
europea, si metterà in moto un processo a cascata
e, alla fine i governi dovranno prendere atto della volontà
popolare.
In questo quadro si colloca l'azione specifica da svolgere
in Italia.
La formazione di uno schieramento trasversale rispetto alla
maggioranza e all'opposizione - che, unificando tutte le
forze europeiste e isolando quelle antieuropeiste, riporti
la politica europea dell'Italia nel solco tracciato da Einaudi,
De Gasperi e Spinelli - passa anzitutto per la rapidissima
convocazione di una solenne seduta del Parlamento italiano
a camere riunite che adotti il progetto di Costituzione
europea. Passa, in secondo luogo, per l'inserimento, ad
opera degli europeisti presenti nella maggioranza, nel processo
di verifica all'interno del governo prevista per il periodo
immediatamente successivo alla conclusione del semestre
europeo dell'Italia, della politica europea come punto centrale.
Passa infine per una grande mobilitazione dell'opinione
pubblica a favore della scelta per la Costituzione europea
con chi ci sta.
Certo, si tratta di un impegno estremamente arduo, che può
apparire velleitario, tenendo in particolare conto dei tempi
strettissimi, data la vicinanza delle elezioni europee.
Non va però dimenticato che qui è in gioco
a tempi brevi la capacità da parte dell'UE di far
fronte alle sfide esistenziali di un governo economico europeo
che affianchi l'unione monetaria, della unificazione dell'intera
Europa, dell'indispensabile ruolo dell'Europa a favore di
un mondo più giusto, più sicuro e più
pacifico. Se l'iniziativa costituzionale sviluppatasi con
la Convenzione europea fallisce, cadremo in una crisi di
enorme gravità analoga a quella del fallimento della
CED nel 1954. Rispetto a quella vicenda ci sarebbe peraltro
una pesante differenza per quanto riguarda le prospettive
di un rilancio dell'integrazione europea. Allora il governo
americano favoriva questo processo, oggi lo boicotta deliberatamente
nel quadro di una politica egemonica che invece di far progredire
il mondo accresce la sua instabilità.
Sergio Pistone
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